“I miei pazienti affetti da problemi di somatizzazione non percepivano i loro stati emotivi in situazioni angosciose: le idee associate a ogni affetto conflittuale importante non venivano rimosse ma cancellate dal campo della coscienza”
Teatri del corpo, J. McDougall.
L’angoscia resta la fonte di tutti i sintomi, la scelta del sintomo come tentativo di autoguarigione resta aperta, ognuno sceglie un suo modo per esprimere il suo vissuto angosciante. La malattia psicosomatica è uno dei tentativi.
Riconoscere la malattia per la sua componente somatica è molto complesso non solo per le figure professionali che ruotano intorno alla persona che ne soffre ma soprattutto per la persona stessa.
Quest’ultima riesce con fatica ad accettare la sua parte di responsabilità nella creazione dei sintomi perché le ritengono per la maggior parte dei casi prive di significato psicologico anche se in realtà queste malattie ci sono sempre state e hanno rappresentato per molto tempo un tentativo per preservare la malattia stessa, quest’ultima vissuta come unico strumento, nei momenti di crisi, per saggiare i propri limiti corporei.
E’ fondamentale, nel lavoro clinico, riconoscere in primis che la persona che soffre di disturbi psicosomatici “manca di parole” nel dare un nome ai propri stati emotivi. E’ come se non avesse accesso alle parole, ma il suo corpo riconoscesse i suoi sentimenti.
Non significa provare un disagio immaginario, ma in situazioni disfunzionali, le emozioni sono talmente represse che trovano espressione tramite il corpo ed è esso non è più fruitore di benessere.
Che fare quindi?
Intraprendere un percorso di psicoterapia è un aspetto fondamentale, per prendersi cura partendo dal riconoscimento delle proprie emozioni.
In terapia si impara a vivere i sintomi somatici come comunicazione dei propri stati di angoscia e delle proprie emozioni con l’obiettivo di dare al corpo anarchico la possibilità di trasformarsi in un corpo simbolico.
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